«Potrete ingannare tutti per un po’, qualcuno per sempre, ma non potrete ingannare tutti per sempre» - Abraham Lincoln -

domenica 16 gennaio 2011

Il vero sogno di M. L. King

Memorie americane – "I have a dream"
Il discorso di Washington
quarantaquattro anni fa

di Gordon Poole

Martin Lutther King

Il 28 agosto del 1963 il leader degli afro-americani
pronunciò il suo celebre discorso «I have a dream». King citò Lincoln, la Bibbia, Shakespeare. Ma si riferì anche a Malcolm X e alle Pantere nere. «Non ci sarà riposo né tranquillità in America finché al nero non saranno garantiti i suoi diritti di cittadinanza». Il reverendo pacifista condivise anche il «sogno» di John Brown, condannato a morte con l'accusa di aver tentato un'insurrezione armata
Il 28 agosto 1963 Martin Luther King, durante un comizio a Washington di fronte al Lincoln Memorial, proclamò il proprio sogno di liberazione per gli afro-americani: «Cento anni fa un grande americano, sotto la cui ombra simbolica ci troviamo oggi, firmò il Proclama di Emancipazione». Luogo e data erano stati scelti con cura dagli organizzatori, non solo per dare il massimo risalto al discorso ma anche per sacralizzare la lotta di liberazione dei neri, legandola all'opera di emancipazione di Lincoln. In ogni discorso politico è anche questione di retorica: per indicare i «cento anni» passati dall'Emancipazione, King usò una espressione piuttosto desueta: «five score» (cinque ventine) che ricordava agli ascoltatori il breve ma famoso discorso commemorativo di Lincoln pronunciato a Gettysburg il 19 novembre 1863 e imparato a memoria da generazioni di scolaretti, che inizia: «Four score and seven years ago, i nostri padri fondarono una nuova nazione, dedicata al principio che tutti gli uomini sono creati uguali…». Il richiamo di Lincoln, a sua volta, andava a documenti fondamentali della repubblica come la Dichiarazione di Indipendenza, la Costituzione, il Bill of Rights, ispirati all'illuminismo.

Quindi la retorica di King radicava la lotta dei neri nella migliore tradizione libertaria del suo paese.

I riferimenti alla Bibbia

Il suo discorso, oltre ai contenuti, si arricchiva di abbellimenti retorici, metafore, ripetizioni, anafore. King attingeva frasi e concetti alla Bibbia nonché al quotidiano dei suoi ascoltatori. Così riferimenti al Vecchio e Nuovo Testamento o a Shakespeare si alternavano con richiami al presidente Abraham Lincoln e al mondo della finanza. Espressioni barocche come «bruciato nelle fiamme di devastanti ingiustizie» e «la solida rocca della fratellanza» sono frammiste ad altre colloquiali come «blow off steam» (sfogarsi), «cooling off» (darsi una calmata) o «il farmaco tranquillizzante del gradualismo». È da notare però che, sebbene Lincoln fosse ricordato da King come il grande Liberatore degli schiavi negli stati ribelli, come Presidente egli non aveva mai avuto sogni di liberazione come quello di King, quando questi auspicava che «un giorno proprio lì in Alabama ragazzini e ragazzine nere potranno stare mano in mano con ragazzini e ragazzine bianche come sorelle e fratelli» e frequentare le stesse scuole.

Emancipare gli schiavi era una cosa, integrarli nella società americana era un'altra. In verità, Lincoln aveva inteso il Proclama di Emancipazione, promulgato il 1 gennaio 1863, in piena guerra, principalmente come un'arma per dare agli schiavi un motivo, se non per ribellarsi, comunque per sperare in una vittoria del Nord e per agire in vari modi per favorirla, nonché per incoraggiare neri liberi del Nord e quelli delle zone del Sud conquistate dal Nord ad arruolarsi nell'esercito dell'Unione, che ne aveva un disperato bisogno. Il Proclama serviva anche per suscitare preoccupazioni fra i sudisti bianchi i quali, memori di sanguinose rivolte di schiavi, come quella del gruppo capeggiato da Nat Turner nel 1831, potevano temere che qualcosa di analogo succedesse mentre tutti gli uomini bianchi validi erano impegnati al fronte. Tuttavia, Lincoln non poteva non intuire che quel proclama avrebbe dato forza a una lotta per la libertà con conseguenze sconvolgenti per la società degli Stati Uniti a guerra finita.

Gli ideali dell'Illuminismo

Neanche i padri fondatori della repubblica, che King cita, insieme a Lincoln, a sostegno del suo programma di liberazione, concepirono mai una società nella quale i neri sarebbero stati alla pari coi bianchi: per farlo, avrebbero dovuto accettare fino in fondo gli ideali dell'Illuminismo a cui si richiamavano. Eppure l'implicazione che le parole «All men are created equal», non potessero essere limitate ai soli maschi bianchi ma, potenzialmente, dovessero estendersi fino da comprendere tutti e tutte era, a lungo andare, inevitabile. Questa possibilità si manifesta con forza nelle parole di King, quando dice che «Tutti i figli di Dio» devono essere liberi. La reinterpretazione forzata dei documenti storici della repubblica che King fece quel giorno sotto il sole di agosto nella capitale, e che aveva e avrebbe perseguito risolutamente durante la sua vita, non si sarebbe potuta imporre se non grazie alle lotte di massa dei neri, con la solidarietà militante di
moltissimi bianchi.

King era per religione e ideologia rigorosamente avverso alla violenza, ma ben sapeva che ci era voluta una guerra civile per ottenere l'emancipazione degli schiavi e il XIII e XV emendamento della Costituzione.
Egli sapeva anche che le lotte risolute, talvolta violente contro il razzismo e l'oppressione poliziesca, condotte da gruppi di liberazione neri, come gli islamici di Malcolm X, gli attivisti di Potere nero di Stokely Carmichael e le Pantere Nere, erano parte importante del movimento.

Un brusco risveglio

A un certo punto del suo discorso, Martin Luther King lo fa capire, correndo il rischio di contraddirsi: «Coloro che speravano che il nero avesse soltanto bisogno di sfogarsi un po', e che ora si sarebbe accontentato, avranno un brusco risveglio se la nazione dovesse tornare al solito andazzo. Non ci sarà riposo né tranquillità in America finché al nero non siano garantiti i suoi diritti di cittadinanza. Le tempeste della rivolta
continueranno a scuotere le fondamenta della nostra nazione finché non sorga il luminoso giorno della giustizia». Subito dopo, però, si rivolge ai suoi: «Dobbiamo sempre condurre la nostra lotta sul piano della dignità e della disciplina. Non dobbiamo permettere che le nostre proteste creative degenerino in violenza fisica. Di volta in volta dobbiamo elevarci alle maestose altezze dove alla forza fisica si oppone la forza dell'animo». E con San Paolo li invitava: «Continuate a lavorare nella fede che la sofferenza immeritata è
fonte di redenzione» (II Corinzi 12.10).

In verità, se mai vi fosse stata, all'epoca di Lincoln, persona che condividesse il sogno del reverendo King, quella era John Brown (1800-1859). Prima di ascoltare la sentenza di morte della corte di Virginia per aver tentato un'insurrrezione armata, Brown fece un breve discorso in uno stile tipicamente puritano, il cosiddetto plain style (sermo humilis), lontano dall'oratoria altisonante e carismatica di King. In parole semplici Brown affermò però sostanzialmente lo stesso ideale, ricavato da quella stessa Bibbia che così importante era per l'idealismo politico di King. Nella sua breve perorazione, Brown affermò due volte che il suo scopo era stato soltanto di liberare degli schiavi, non di incitarli a una ribellione generale.

Il convincimento di Brown che gli schiavi avessero il diritto, chiaramente per lui un diritto naturale conferito da Dio, di liberarsi con ogni mezzo, era coerente con i suoi presupposti ideologici. Le sue idee anticipano quelle di Malcolm X, espresse anche quelle in un contesto religioso: «By any means necessary» (con ogni mezzo necessario).

Il sacrificio di John Brown

Nel discorso di Brown alla corte mancano le metafore, ci sono pochi aggettivi e mai usati per abbellire il discorso o intensificarne l'effetto retorico. Anche quando egli qualifica le leggi schiavistiche come «wicked, cruel, and unjust» (malvagie, crudeli e ingiuste), non si tratta di iperbole: egli vuol dire precisamente che tali legge sono contro la legge divina, il diritto naturale e – giustamente intesa – la legge umana. In cuor suo deve aver capito che la schiavitù era destinata presto o tardi a finire. Capiva anche che la propria morte avrebbe potuto accelerare quel processo, sebbene forse non prevedesse la terribile guerra civile che di lì a poco, fra il 1861-1865, sarebbe stata combattuta in parte a causa della questione della schiavitù, invocando il suo nome: «John Brown's body lies a-mouldering in the grave, but his soul goes marching on. Glory, glory hallelujah!» (Il corpo di John Brown marcisce sotto terra, ma l'anima sua continua a marciare). Dopo quel discorso egli non fece altre dichiarazioni e un mese più tardi andò muto al patibolo.

Lo stesso sogno

Nel discorso di Martin Luther King, ucciso con l'8 aprile 1968 all'età di trentanove anni, non si fa naturalmente alcun riferimento a John Brown, sebbene King condividesse il sogno di liberazione dell'arcigno predicatore ottocentesco, e questo perché King non accettava e non poteva quindi assecondare i metodi con i quali Brown aveva cercato di realizzare quel sogno. Però il sogno di King, piuttosto di Lincoln o dei Padri Fondatori, era quello di Brown: «Quando faremo risuonare la Libertà – quando la faremo risuonare da ogni villaggio e ogni paesino, da ogni stato e ogni città, potremo accelerare la venuta di quel giorno in cui tutti i figli di Dio, neri e bianchi, ebrei e non ebrei, protestanti e cattolici, potranno prendersi per mano e cantare le parole del vecchio spiritual: 'Finalmente liberi, finalmente liberi! Grazie a Dio onnipotente, siamo finalmente liberi».

fonte Il Manifesto

L'eredità di Martin.
I suoi figli e qualche incubo

Martin Luther King III sta conducendo una battaglia contro la povertà. Ma la nipote Alveda è una militante anti-gay e anti-abortista di Andrea Rocco – Il Manifesto

«I have a dream that my four little children will one day live in a nation where they will not be judged by the color of their skin». La speranza di Martin Luther King non si è ancora realizzata per gli afro-americani. Ma cosa è successo ai suoi quattro figli, per i quali sognava un giorno nel quale non sarebbero più stati giudicati dal colore della loro pelle? Proprio in questi giorni, Martin Luther King III, il figlio maggiore del Premio Nobel sta conducendo una campagna contro la povertà, organizzata dalla sua organizzazione Realizing the Dream (Realizzare il Sogno) che tocca 30 città statunitensi e che sta trovando grande attenzione presso le comunità afro-americane ela altre minoranze. Martin Luther King III ha diretto per breve tempo, alla fine degli anni '90, l'organizzazione Southern Christian Leadership Conference (Sclc), creata dal padre e successivamente il King Center for Nonviolent Social Change di cui era stato leader anche il fratello Dexter Scott King. Dexter, filmmaker e documentarista è stato il più coinvolto nelle questioni legate allo smascheramento della congiura di cui fu vittima il padre, arrivando ad indicare per nome e cognome il vero killer: si sarebbe trattato di Earl Clark, ufficiale del Memphis Police Department, coadiuvato e assistito dalle Forze Speciali messe in campo dall'Fbi. Yolanda Denise King, la figlia maggiore di Mlk, è morta improvvisamente il 15 maggio scorso a 52 anni. È stata attrice (ha interpretato Rosa Parks, un'altra leggenda della lotta per i diritti civili in una miniserie tv) e militante per i diritti civili. L'altra figlia e la più giovane di Coretta e Martin ha raccolto più compiutamente l'eredità paterna, diventando ministro protestante e assumendo posizioni di rilievo nella Sclc e in altre organizzazioni. La famiglia King si è però spaccata sul tema dei matrimoni gay. I diritti delle comunità omosessuali sono stati una battaglia centrale della vedova Coretta Scott King (morta nel 2005) e di Yolanda. Va ricordato (e Coretta non perdeva occasione per ricordarlo) che la grande marcia di Washington, alla fine della quale venne pronunciato il discorso «I Have a Dream» ha avuto tra i suoi organizzatori principali, se non il più importante, il gay afro-americano Bayard Rustin, eccezionale figura della lotta per i diritti civili, di cui ricorre quest'anno il 20 anniversario, ignorato, della morte. Bernice ha invece manifestato ad Atlanta contro i matrimoni gay. Una frattura importante, ma nulla di paragonabile con le posizioni della nipote di Mlk, Alveda King, figlia di A.D. King, fratello di Martin, morto in circostanze misteriose nel 1969 (per alcuni fu anch'egli assassinato). Alveda è una militante anti-gay e anti-abortista ed esponente dei Democrats for Life. Alveda ha detto più volte che l'alto tasso di aborti riscontrabile nella comunità afro-americana equivale a un tentativo di genocidio e che proibire l'aborto significa marciare nella stessa direzione di conquista dei diritti civili voluta dal suo famoso zio. «Come afro-americani - ha detto – dobbiamo superare molte prove per sopravvivere. Ma oggi c'è un genocidio che minaccia di cancellare le nostre speranze e il nostro futuro. È
l'aborto. Come può sopravvivere il Sogno se uccidiamo i bambini?». Coerentemente, Alveda King sostiene il più ferocemente conservatore tra i candidati repubblicani alla presidenza 2008, il Senatore del Kansas Sam Brownback. Per lo zio Martin Luther sarebbe stato un incubo, più che un sogno.

fonte: http://no-racism-news.noblogs.org/post/2007/08/29/il-vero-sogno-di-m-l-king/

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